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Il blog di Giorgio Cattaneo

Missing link: quello che il potere non ci svela
Se hai la somma sventura di finire segregato ad Auschwitz, ti succede di pensare che, al mondo, niente sia altrettanto vero: il lager diventa il tragico specchio dell’unica possibile autenticità. Ce lo spiega la spietata, appassionata lucidità di Primo Levi: il vizio di forma del nostro sistema può portare esattamente là, dietro quei reticolati. Un inferno meticolosamente progettato da una potenza economica occidentale, la Germania, tacitamente sorretta dal capitalismo finanziario atlantico e, dopo la farsa di Norimberga, recuperata con i miliardi del Piano Marshall in funzione antisovietica, dopo aver tratto in salvo la maggior parte dei gerarchi e degli scienziati nazisti.
Un tema tristemente tornato alla ribalta, oggi, nell’osceno spettacolo che propone il revival del neonazismo in versione ucraina (quello che spara nelle gambe degli inermi prigionieri russi) in mezzo alla spaventosa mobilitazione generale che, in Europa e negli Usa, soffia sul fuoco della guerra scatenando un’ondata livida di russofobia delirante, gonfia di menzogna e gravida di minaccia. A voler cancellare i russi, come se fossero i nuovi “untermenschen”, sono i dimessi architetti del Nuovo Ordine di ieri, quello che radeva al suolo i grattacieli (al prezzo di tremila innocenti) e poi provava a sottomettere un miliardo di persone con la trovata geniale dell’ultima versione del terrorismo, quello sanitario.
L’abilità di chi stende filo spinato – diceva Primo Levi – consiste nel non dare nell’occhio: i recinti all’inizio sono di dimensioni limitate, proprio per non allarmare il pubblico. Dopo il trentennio aureo del boom, nel dopoguerra, in cui la macroeconomia pilotata doveva promuovere il benessere diffuso e la mobilità sociale per alimentare la macchina industriale e il consenso politico (da contrapporre al potere dell’Urss), il cosiddetto Occidente – principale motore bellico, nel mondo – ha ricominciato a progettare gabbie e recinti.
Una accelerazione senza precedenti, quella che ha incorporato mezza Europa, assediando la Russia, subito dopo il collasso del decrepito impero sovietico. Da allora, solo guerre: Iraq e Afghanistan, Cecenia, Jugoslavia, Libia e Siria, Georgia, Yemen, Ucraina. Ora siamo allo stallo tattico: troppo grossa, la Russia, per essere ingoiata. Non solo: con Mosca c’è praticamente il resto del mondo. Cina e India, Sud-Est Asiatico, Africa e Sudamerica. L’Occidente delle sanzioni si è rimpicciolito. Ora alza la voce, come sempre e più di sempre. Ha paura che il suo dominio dispotico, fondato sulla finanza a mano armata, questa volta possa davvero crollare? Teme che possa franare l’ipocrisia della sua doppia morale, che prevede la democrazia formale in casa propria e la “dittatura amica” fuori dai confini? Forse qualcuno, a Washington, trema all’idea che milioni di europei – a cui oggi viene fatto pagare il conto della crisi ucraina – possano manifestare insofferenza, per il rovinoso vassallaggio feudale cui sono sottoposti?
La società occidentale si è rivelata, storicamente, un formidabile laboratorio intellettuale, culturale, ideologico. Laboratorio di cui oggi si stenta a ritrovare traccia, tra milioni di cittadini ammutoliti e sottomessi, sottoposti al nuovo regime dell’ipnosi di massa. Prima Al-Qaeda e la crisi dei subprime, poi quella degli spread, quindi le stragi dell’Isis. Il copione è invariabile: l’Uomo Nero compare dal nulla, semina il panico e poi sparisce, prima che si scopra il suo vero mandante. Sparisce, il Nemico, per cedere il posto al nuovo Grande Terrore. E’ stato lungo, il training sociale che ha preparato l’avvento della Paura Pandemica Universale, antipasto del piatto forte: l’inoculo a tappeto di sieri genici sperimentali, come premessa per giungere infine al lasciapassare obbligatorio.
Un capolavoro devastante e senza precedenti, al quale ha lavorato in modo formidabile la disinformazione violenta operata ogni giorno dai grandi media. Scontato, oggi, che il pubblico si schieri contro l’ultimo Uomo Nero che il sistema gli ha appena presentato: il folle, sanguinario dittatore russo. Un pazzo che una mattina si sveglia e, senza una ragione, invade un paese qualsiasi. Questa è la versione a cui gli occidentali sono tenuti a credere.
Ai tempi dell’Urss, l’Occidente dava asilo a uomini ferocemente perseguitati, come il grande Solženicyn. Oggi, è la Russia a dare asilo a Snowden, mentre il povero Assange marcisce in carcere per aver mostrato al mondo l’orrore dei lager statunitensi, da Guantanamo ad Abu Ghraib, negli anni in cui il democratico governo di Tel Aviv bombardava con il fosforo bianco gli “scarafaggi palestinesi” di Gaza, facendo 1.400 morti tra la popolazione civile.
Anche questo è Occidente: così come lo sono i dissidenti di origine ebraica, da Moni Ovadia ai valorosi “refuseniks” israeliani, soldati che alla barbarie preferiscono la disobbedienza e quindi il carcere militare.
Oggi, però, di fronte alla devastazione prodotta dal regime occidentale con l’arma dell’emergenza “pandemica”, si stenta a leggere l’attualità con le sole lenti della geopolitica. Nasce cioè il sospetto, avanzato da alcuni, che la Russia di Putin non abbia solo voluto reagire al progressivo strangolamento cui è stata sottoposta. Non che le mancassero i pretesti per intervenire: sono stati 20.000 i cittadini russofoni assassinati nel Donbass, negli ultimi otto anni, dal governo fantoccio di Kiev insediato dopo il golpe occidentale del 2014. Non chiudere all’Ucraina le porte della Nato è stata una provocazione esplicita, esattamente come i missili schierati nei Paesi Baltici, a due passi da San Pietroburgo.
Considerazioni elementari, costate il posto al corrispondente Rai – Marc Innaro – che aveva osato farle presenti: in Occidente, oggi, dire la verità è pericoloso.
Ma, appunto, la questione non può ridursi a una mera contesa egemonica territoriale: ci dev’essere altro, dietro alla decisione del Cremlino di passare alle vie di fatto, archiviando la diplomazia, pur sapendo che le conseguenze – di portata globale – sarebbero state letteralmente epocali. Un vero e proprio divorzio tra due mondi, forse addirittura – almeno in parte – concordato. Come dire: separiamoci, facciamola finita.
Proprio non ci volete, perché non siete riusciti a sottometterci? Bene, allora ce ne andiamo. E vedremo, alla fine, chi la spunterà.
Così, cambierà il mondo: è già cambiato, infatti.
I signori del dollaro sono inquieti: che fine farà, l’antico potere basato sulla schiavitù del debito, imposta con il monopolio della moneta non sovrana? E i loro colleghi, i padroni dell’euro, ora si preparano all’ennesima terrificante austerity cui sottoporre i sudditi europei, reduci dalla strage sanitaria, dai lockdown e dalle green card, verso il credito sociale in stile cinese.
Nel suo illuminante saggio (“Massoni”, uscito nel 2014), Gioele Magaldi ha acceso i riflettori su un livello sovrastante del potere, quello delle superlogge. Organizzazioni apolidi e senza bandiera, spesso in conflitto tra loro, che detterebbero l’agenda mondiale: agirebbero al di sopra dei governi e anche delle entità paramassoniche, come la Trilaterale, il Bilderberg e il tristemente celebre Forum di Davos.
Sarebbero loro, i creatori del Truman Show permanente: quello che ha dato vita al personaggio Greta, animando il film del “climate change di origine antropica” per lanciare la finanza “green”, imponendo intanto il più assoluto silenzio su svariate operazioni collaterali già in corso, dallo sviluppo della rete di antenne 5G al continuo rilascio di sostanze chimiche, nei cieli occidentali, da parte degli aerei di linea.
In questi ultimi anni, poi, sono andate emergendo le voci di analisti indipendenti, non coinvolti in reti di potere più o meno occulte. Il ritratto che offrono, dell’establishment globalista, è piuttosto sconcertante: si parla di leader che, dietro l’esibita pragmaticità materialistica, debitamente incipriata di politically correct, studiano l’astrologia e talora praticherebbero anche la magia, ufficialmente relegata alla dimensione infantile della superstizione.
Alcuni, ricorrendo al registro mistico, tendono a ricondurre anche la geopolitica alla categoria del soprannaturale, dello spirituale, nel tentativo di dare una spiegazione all’eterno problema del male.
Studiosi di ogni parte del mondo, nel frattempo, si sono accorti del fatto che le religioni originarie non sarebbero state altro che l’eredità terrestre di antichi governatori non terrestri, “divinità” raffigurate – migliaia di anni fa – a bordo di velivoli come quelli che nel 2019 la Us Navy ha finalmente mostrato al pubblico, senza più negarne la presenza.
Sotto questo aspetto, Oriente e Occidente potrebbero anche essere interpretati come giganteschi esperimenti zootecnici. Se così fosse, si dovrebbe dedurre che le chiavi della storia – incluse le ultime crisi, il precipizio sul quale oggi sembra barcollare il mondo – non siano esclusivo appannaggio di ristrette élite iniziatiche, e men che meno dei capi di Stato che ad esse, oscuramente, risponderebbero.
La smisurata quantità di male che è stata rovesciata addosso alla popolazione sembra condannare innanzitutto l’Occidente: sempre meno distinguibile dalle deprecate dittature e, anzi, in prima linea – in questi anni – nel perseguitare i cittadini con inaudite vessazioni.
La sensazione è che siano destinate a cadere molte categorie politologiche del passato, travolte dal totalitarismo della “neolingua” orwelliana che sembra essersi impadronita dell’uomo occidentale, indebolito in mille modi e traumatizzato da un potere la cui logica sfugge, francamente, alle consuetudini terrestri.
E’ un potere che celebra il falso, imponendolo in modo sempre più assertivo. Un potere che discrimina, che mente quasi sempre. Come se dovesse nascondere qualcosa di irriferibile, di inconfessabile. Un “missing link”, tra i massimi decisori visibili e le ipotetiche, impalpabili entità da cui forse hanno sempre preso ordini: esattamente come i sacerdoti delle divinità antiche.

Teologia della guerra, ieri come oggi
Nell’autunno 2020, quando scrivevo “La Bibbia Nuda” insieme a Mauro Biglino, l’Italia aveva già alle spalle il lockdown della primavera e stava per sperimentare l’ultimo ritrovato del governo: il coprifuoco. Due termini – “carcere duro” e coprifuoco – che rendono perfettamente l’idea del tipo di trattamento riservato ai cittadini, in nome di una dichiarata emergenza sanitaria. Un’emergenza per la quale sono state a lungo negate e oscurate le cure, ottenendo così l’effetto di intasare gli ospedali di pazienti ormai aggravatisi, proprio perché lasciati soli per giorni nelle loro case, senza la minima assistenza medica.
Logica conseguenza, poi, l’imposizione di una controversa profilassi sperimentale (il trattamento sanitario obbligatorio mediante i sieri genici C-19) e l’adozione del lasciapassare digitale. Un passaporto “sanitario” senza il quale non si sarebbe più potuto continuare a lavorare, viaggiare e vivere, o addirittura entrare in un negozio di scarpe, accedere agli uffici pubblici, fare un salto in banca o spedire una semplice raccomandata postale.
Nel suo imponente lavoro di ricerca, presentato al pubblico da ormai oltre un decennio, Mauro Biglino – sulla base di minuziosi riscontri filologici – di fatto demolisce la narrazione teologica dell’Antico Testamento, riportando la Bibbia alla sua “nudità” originaria, cioè spogliandola dei successivi orpelli religiosi, molto spesso fondati su traduzioni erronee, quando non completamente inventate.
Di Mauro Biglino ho sempre apprezzato il rispetto che mostra nei confronti di chi vive una personale fede religiosa: come a dire che il pensiero che si rivolge all’esistenza di una divinità onnisciente e onnipotente non può essere sabotato dalla lucida analisi di testi antichi, sui quali un preciso potere, insediato a Roma da quasi due millenni, pretende di far discendere la presenza quasi genealogica di un’entità soprannaturale, lieta di farsi rappresentare da una gerarchia di potenti ministri e ambasciatori terreni.
Ciò non toglie, però, che questa riflessione sulla Bibbia (“nuda”) risulti straordinariamente consonante con la drammatica attualità di oggi, quella di un mondo in cui è proprio una narrazione infedele a provocare conflitti e divisioni, lungo linee di faglia continuamente aperte, a ogni latitudine, fino a terremotare senza tregua la vita dei terrestri, rendendoli precari e insicuri, spaventati, talora ricattati, comunque sottomessi.
Svariati analisti italiani, da Giulietto Chiesa a Massimo Mazzucco, dopo il 2001 hanno evidenziato con precisione il problema della disinformazione sistematica, partendo proprio dal catastrofico attentato che colpì le Torri Gemelle di New York. Scoprire che quel disastro spaventoso non fu opera di kamikaze isolati fa un po’ lo stesso effetto provocato da certe scoperte di Mauro Biglino: davanti a Mosè – scrive la Bibbia, in ebraico – non si aprirono mai le acque di nessun Mar Rosso; il popolo dell’Esodo si limitò infatti a guadare uno Yam Suf, un semplice canneto, probabilmente uno dei tanti lungo il delta del Nilo.
Quanto è stato breve, il passo che separa la tragedia delle Twin Towers dalla narrativa “climatica” di Greta Thunberg, patrocinata dai signori di Davos? Negli ultimi vent’anni, questa sorta di discesa agli inferi ha proposto un’escalation continua, aperta dalle guerre di aggressione (Iraq, Afghanistan, Libia, Siria), attraverso una via crucis pressoché infinita, passando per la crisi degli spread e l’austerity europea, i terrorismi esotici e quelli domestici, fino ad arrivare, oggi, all’infarto più sconcertante e forse definitivo: la feroce guerra in Ucraina e il divorzio dell’Occidente dalla Russia, che si vorrebbe escludere dal consesso umano in modo quasi metafisico, come se il mondo russo fosse l’unica fonte di ogni male.
Più ancora che i missili, a spaventare – francamente – è il non-pensiero che sovrasta ogni possibile disamina, ogni sguardo proteso ad esplorare aspetti necessariamente sfaccettati della realtà, in cui – come sappiamo – le responsabilità degli eventi storici sono sempre largamente distribuite.
Qualsiasi essere umano non può che ripudiare il ricorso alla guerra: che può essere eventualmente comprensibile, ma mai giustificabile.
Eppure: piuttosto che sforzarsi di comprendere, per poi disinnescare i conflitti, si preferisce criminalizzare la controparte, fino a demonizzarla. Ed è proprio qui che sembra riaffiorare una tentazione antica: travisare la “testualità” fattuale della storia e sostituirla con una sorta di distorsione quasi teologica, un’interpretazione sommaria e basata su una narrazione invariabilmente unilaterale, spesso minacciosa, sempre restia a confrontarsi con l’altrui verità.